
Ieri il mio cane non la finiva di abbaiare, per cui sono andata alla finestra per vedere che cosa lo stava facendo impazzire. E ho visto una scena davvero triste.
C’era una coppia di genitori urlanti davanti a un bambino (avrà avuto massimo 8 anni) in lacrime. Piangeva talmente forte che il mio cane gli rispondeva con abbai e ululati. Una scenetta che mi avrebbe anche potuto far ridere, se non fosse per il resto.
Visto che il bambino continuava a piangere e a fare i capricci, la mamma ha cercato di farlo smettere dicendogli una cosa che mi ha un po’ turbato: “Mi vergogno di te!”, gli ha ripetuto diverse volte. Poi se ne sono andati mentre il bambino ancora piangeva a singhiozzi.
Ora, io non so se è una cosa normale, ma per me è una affermazione che ha dell’incredibile. Non credo che un’umiliazione di questo tipo – per strada, davanti a tutti – possa giovare all’autostima di un individuo così giovane. Visto che sono solo una sociologa e non mi occupo di psicologia, ho chiesto un parere professionale a una mia cara amica.
Marianna Porqueddu è una psicologa di professione e si occupa anche di psicologia dello sviluppo e dell’età evolutiva. Il suo progetto Tata in Famiglia aiuta i genitori e i figli a migliorare il loro rapporto e le relazioni quotidiane, oltre a offrire un servizio super professionale di baby-sitting.
Le ho scritto una e-mail raccontandole la scena a cui ho assistito, e lei – come sempre – è stata rapidissima nel rispondermi. Ecco quello che pensa, da professionista, riguardo il comportamento della mamma in questione:
“Non è solo umiliante, è squalificante! Considera il messaggio che arriva al bimbo: è sproporzionato per il tipo di comportamento messo in essere dal bambino.
Poniamo che il bambino stia facendo davvero solo un capriccio, il modo migliore per far in modo che quel comportamento scompaia è ignorarlo. Se il bambino è abbastanza grande, si può discutere in un secondo momento con lui, spiegandogli, senza giudizi di valore legati alla persona, in che modo quel comportamento è sbagliato e quale sarebbe invece quello migliore per ottenere l’obiettivo che avrebbe voluto raggiungere.
Immagina poi un bimbo che ha un malessere un po’ profondo – niente di tragico – ma non proprio sereno. Quel bambino manifesta il suo stress emotivo “rompendo“, disturbando, infastidendo. La madre si ferma a quel comportamento “tipico” di quel bambino (per stanchezza o per poca consapevolezza degli stati emotivi propri e del bambino) e lo giudica come caratteristica intrinseca del bambino stesso, fino a farli diventare una cosa sola. Quindi dirà: “mio figlio è un rompiscatole“, “mio figlio è un bambino difficile“, “mio figlio non è un bravo bambino“, “di un figlio così ci può solo vergognare“.
Il bambino così impara che quando sta male non deve esprimere le emozioni (considera che quel comportamento è magari l’unico che conosce per esprimere il suo disagio), e anzi ci si deve vergonare, perché altrimenti si diventa “difficile, rompiscatole, cattivo”, et cetera.”
Dopo aver sentito l’opinione di Marianna, che ringrazio di nuovo per la consulenza, mi sento una persona ancora più fortunata: i miei genitori non si sono mai vergognati di me. O forse non me l’hanno mai detto, nemmeno quando lo pensavano.
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My dog didn’t stop yapping yesterday afternoon, so I came near to the window to see what was driving my dog crazy. And I watched a sad scene.
There were parents yelling to their kid in tears. He was crying so hard that my dog was replying to him with strong barks.
Since the kid kept crying and having a tantrum, the mother said something that upset me. “I’m ashamed of you!” she repeated several times to the kid. Then they left while the child was still in tears.
So, I don’t know if I have translated well the sentence said by the mother, but this is incredible for me. I don’t think that this kind of blames could improve the self esteem of a young individual. Since I’m just a sociologist and I don’t deal with psychological stuffs, I sought psychological advice from a friend of mine.
Marianna Porqueddu is a psychologist and deals with developmental psychology into her Tata in Famiglia project, which helps parents and kids in daily stuff and offer a super-pro nanny service (it’s in Italian only but take a look the same, ask a favour of Google Translate!).
I wrote her an e-mail and Marianna replied me quickly, as usual. That is what she thinks about the mother’s behavior as a professional:
“It’s humiliating for the kid, and degrading as well! You just consider the message which comes to the kid: it’s quite out of proportion to the conduct behaved by the kid.
Let’s image that the kid was having a tantrum. The best way to stop it is to ignore it at all. You can argue to the kid later, explaining him your reasons without giving one’s opinion on him as an individual.
Let’s imagine another scene: the kid has a deeper unease, nothing to worry about of course. He shows his emotional stress bothering people around him. The mother don’t recognized the unease for many reasons, and judges that behavior as a her son’s personal trait. Then she says “My son is a pain in the neck“, “My son is not a good baby“, “I could only be ashamed by a son like him“.
Then the kid learns that he must not show his feelings when he feels bad but he must to ashamed of himself because he is become a “pain in the neck“.
I’m a lucky person because my parents were never ashamed by myself. Or maybe, they never told me it even when they were.
Purtroppo l’ignoranza e l’impulsività giocano brutti scherzi, soprattutto quando si tratta di rapporti tra genitori e figli. La cosa peggiore è che di solito, quando un bambino vive una vita sottoposto a stress emotivi simili, crescerà e vivrà con un intrinseco senso di colpa che non dovrebbe MAI avere, e che lo accompagnerà almeno sino alla fase della consapevolezza, dai 20 anni in poi. Posto che arrivi a raggiungerla, la consapevolezza di non aver fatto nulla di male. Purtroppo, non tutte le persone hanno quest’illuminazione.
Hai ragione, Jubi. :(
Mi chiedo fino a che punto io possa trovare una giustificazione al comportamento della madre.
Mi spiego: leggendo dell’episodio e le considerazioni della psicologa, il primo pensiero è stato severo nei confronti della madre e di come potrà crescere un bambino con una madre del genere. Il secondo però è stato “beh ma non la conosco, può aver ceduto male ad un momento di stress e in realtà magari è bravissima come madre”. Infine l’ultimo è stato “si, ma forse può bastare un solo singolo momento di debolezza come questo per danneggiare l’autostima del bambino” e da qui la domanda iniziale.
Non ho figli e non so qual’è la risposta, non so neanche se mi sono spiegato. A “pelle” direi che il momento di debolezza può capitare a tutti, ma che a mente fredda la madre dovrebbe il prima possibile restituire fiducia al bambino, anche ritirando ciò che ha detto.
Infatti è anche quello che mi ha detto Marianna: difficile giudicare una persona da una singola azione, che tra l’altro lei non ha nemmeno visto.
Però il tono in cui lo diceva e l’uso della donna di verbi e avverbi di frequenza, mi ha portato a pensare che il comportamento del bambino fosse una specie di abitudine, e così anche la reazione della donna.
Io ho tre figli, e vi giuro a volte sono insopportabili, capisco la reazione della “mamma” . io per quanto esasperata cerco sempre di circoscrivere il rimprovero ” sei insopportabile quando ti comporti così”, non in genere ma solo quando ti comporti in quel determinato modo!
Però per quanto mi sforzi di ricorare non ho mai datto ai miei figli “Mi vergogno di te!”
SONO MOLTO FIERA DI LORO
[…] queste settimane ho scritto di madri: mamme scorbutiche, mamme di atleti olimpici, mamme alle Olimpiadi. E magari qualcuno di voi ha pure pensato che sono […]