Chi pratica sport sa che infortuni e traumi facciano parte del gioco. Un atleta olimpico lo sa più di tutti gli altri.
Questi dolori, molto spesso, non traspaiono durante la gara, anche se influenzano la prestazione sportiva dell’atleta.
É ormai risaputo che convivere con il dolore (fisico, in questo caso) sia una questione mentale.
Uno degli aspetti che gli esperti stanno cercando di studiare è come cambia la percezione del dolore, nel caso in cui l’infortunio avvenga durante la gara o meno.
Infatti, la concentrazione mentale dell’atleta durante la prestazione sportiva può far si che la tolleranza al dolore durante un match sia più alta rispetto alle normali giornate di allenamento.
Non dovremmo, quindi, stupirci se un atleta – e in particolare un atleta olimpico – si infortuni durante una gara, ma trovi la forza mentale per proseguirla fino al termine.
Indimenticabile, a questo proposito, la storia di Kerry Strug, ginnasta statunitense che, durante le Olimpiadi di Atlanta 1996, portò la sua squadra a vincere la medaglia d’oro nel volteggio, dopo essersi lesionata i legamenti della caviglia nel salto precedente.
“In un primo momento, non mi ero resa conto della gravità del mio infortunio. Solo successivamente ho capito che il suono che avevo sentito erano i legamenti che si erano lesionati”
Queste le parole della Strug dopo la sua prova.
Uno studio dell’Università di Heidelberg (Germania) ha rilevato come gli atleti abbiano una più alta soglia di tolleranza al dolore: le storie di molti atleti ne sono un perfetto corollario.
In queste Olimpiadi di Rio 2016, un atleta olimpico in particolare si è distinto in questo doloroso (e commovente) aspetto dell’avventura a cinque cerchi. Il velista francese Bouvet è stato accompagnato alla sua imbarcazione in sedia rotelle. Non riuscendo a camminare a causa di un terribile attacco di sciatalgia, ha comunque deciso di onorare la gara in ogni caso, costasse quello che costasse.