Nel corpo e nella mente del maratoneta

Stefano Baldini Olympic Marathon maratonetaAvete mai pensato a cosa passa nella testa di un maratoneta mentre percorre quegli interminabili 42 km e 195 metri? L’ho chiesto a Nicola Giorgioni, amico e podista che già era intervenuto con questo avvincente post in occasione delle Olympinner. Se volete capire cosa pensa un maratoneta senza per forza correre per 42 km, buttatevi dentro questo articolo, e buona lettura!

La Maratona è la gara-simbolo delle Olimpiadi, essendo la rievocazione sportiva di un evento epico: la corsa di Filippide dalla città di Maratona fino ad Atene, per una distanza di circa 42 km, che annunciava la vittoria ateniese sui persiani. Un’impresa resa ancor più epica dalla morte di Filippide, stramazzato al suolo dopo aver corso senza sosta.
Siamo sicuri che Filippide non avrebbe fatto quella fine, se si fosse allenato come i maratoneti moderni, se avesse potuto abbeverarsi ai punti di ristoro, se avesse avuto barrette energetiche cariche di magnesio e potassio!
Dobbiamo, però, essergli riconoscenti: se non si fosse immolato, la sua non sarebbe finita negli annali della storia come impresa epica e – di conseguenza – la maratona non avrebbe  quel fascino che la contraddistingue, senza nulla togliere agli altri sport olimpici.

Può essere divertente immaginare Filippide alle prese con concetti come split negativo, ossia correre la seconda parte della maratona più velocemente della prima. Anche i maratoneti amatoriali – come chi scrive – hanno preso dimestichezza con lo split negativo, così come con il Test di Yasso (“se correrai gli 800 metri in 2 minuti e 50 secondi, allora correrai la maratona in due ore e 50 minuti”).

Correre una maratona non è difficile; correrla bene, invece, richiede una preparazione meticolosa, sia fisica che mentale. 
– Ripetute, salite, i famosi lunghi (da 25-30 km): vedere aumentare la resistenza alla fatica è una sensazione veramente impagabile, esplorare ogni giorno i limiti del proprio fisico, capire fin dove si può spingere, forzando oppure decelerando e lasciando fluire liberamente il sangue nel corpo.
– Allenare la mente significa non permettere al nostro corpo di fare quello che vuole. Fosse per lui, andrebbe sempre al massimo, non risparmiando energie che – con il passare dei chilometri – saranno preziose per non arrivare alla fatidica crisi post trentesimo kilometro, quando puntualmente si presentano sintomi da “gambe di legno“, e l’acido lattico prende il sopravvento. Ed è proprio da quel momento in poi che i km sembrano non passare mai.

Una mente allenata, determinata e concentrata riesce a superare questi momenti: l’atleta riesce, così, a gestirsi e andare in progressione. Sembra scontato, ma non lo è affatto: andare in progressione (e, fidatevi, l’atleta capisce eccome quando va in crescendo, mentre corre) aumenta la carica psicologica, la fiducia in se stessi. Permette, in sostanza, di compiere quello split negativo che è la vera ossessione (in senso buono) per i maratoneti.

Se penso ai maratoneti che chiudono i Giochi Olimpici di Londra 2012, i miei primi pensieri sono rivolti alle grandi fatiche e ai sacrifici fatti in allenamento. Guardandoli (quasi) sempre dalla televisione, siamo abituati a vederli nel loro momento più alto, ossia il momento gara. Eppure, anche loro hanno attraversato momenti duri, dove le gambe non spingevano come loro avrebbero voluto, magari a causa di quei dolori che accompagnano chi pratica sport usuranti (e di resistenza).

Non dimentichiamo, inoltre, che la maratona è uno sport individuale: l’atleta – benché seguito dal proprio coach – in gara deve gestirsi da solo, contando solo sulle proprie forze. Il momento difficile, anche psicologicamente parlando, è quindi dietro l’angolo: non è facile prepararsi a un obiettivo che si presenta da qui a 4 anni. Il pensiero, ogni giorno, cade sulla giornata che vivrai alle Olimpiadi, fino ad immaginarla in ogni suo minimo particolare. Fa parte della programmazione verso l’obiettivo, ma nonostante tutto un obiettivo così grande e ambizioso stressa la mente dell’atleta.

Per capire la differenza tra noi podisti appassionati – che abbiamo la maratona nel cuore – e i fuoriclasse keniani ed etiopi che si contendono l’oro olimpico, rubo una frase di Aldo Rock: “I grandi si allenano in solitudine e diventano campioni, incontrano il lato selvatico e la loro vita inizia a correre. Segui le vie del cuore e non ti preoccupare, correre a volte è rallentare… Correre è non avere fretta”.
E noi, di fretta, non ne abbiamo mai.

Photo credit by Pentathlonarea1

5 comments

  1. Grazie Nicola Giorgioni per questo tuffo dentro al tuo cuore, alla tua testa… alla tua pancia di atleta nell’anima! :)

  2. Un paio di anni fa ha cominciato a fare Aikido nella mia stessa palestra un signore non più giovanissimo (come me del resto) molto determinato e ‘ricettivo’ ma con qualche difficoltà a tirar fuori l’energia (ki) e a canalizzarla efficacemente nelle tecniche.
    ‘Lavoriamo’ spesso insieme e siamo diventati amici.
    Quando ho scoperto che correva regolarmente per almeno tre o quattro giorni alla settimana, per un sacco di chilometri, e che partecipava a tutte le maratone e alle corse sulle lunghe distanze aperte ai dilettanti organizzate nei dintorni (ma anche all’estero non appena poteva) mi sono stupita moltissimo.
    È così magro! Dove tiene nascoste le energie per correre per più di 42 km?
    Mi sono però anche spiegata la sua difficoltà a far uscire con potenza il ki e il kiai (l’urlo) durante le tecniche. Lui è abituato a ‘conservare e a dosare’ in un altro modo l’energia.
    Mi rimanevano però un sacco di curiosità…
    Gli ho fatto perciò leggere il già citato articolo di Nicola Giorgioni e anche quello di Stefania a cui ho contribuito io (Sopportare il dolore dell’11 marzo 2012) ma non è riuscito a parlarmi molto della sofferenza e della forza di volontà necessarie a correre e arrivare al traguardo con soddisfazione: è un uomo di poche parole e pure modesto.
    Ringrazio perciò anch’io Nicola Giorgioni per avermi fatto entrare un po’ di più nella testa di un maratoneta.

    Catia

    • @casalinga ninja (Catia)
      Grazie per il tuo commento. Hai colto molto bene il mio pensiero.
      Io ho lavorato molto su me stesso, in questi ultimi anni, per riuscire a canalizzare bene il mio KI.
      Dici bene, quando uno si abitua a non dissipare le sue energie non è facile liberarle di colpo. E’ un discorso che ha due aspetti, per il mio modo di vedere: da una parte l’essere ben ancorati al momento presente, che garantisce una sorta di equilibrio; dall’altra parte, c’è l’allenamento inteso come pratica costante in cui riuscire a percorrere diversi gradini, per raggiungere nuove consapevolezze di noi stessi.
      Io queste cose non le ho apprese solo correndo, ma è stata la pratica yoga a farmi guardare dentro me stesso da altre angolazioni, così come il tuo amico (probabilmente) sente che fare Aikido può dargli sensazioni/esperienze che può applicare anche nella corsa.
      Grazie ancora :)

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