Wonder Boy #3, Disabili: i figli dimenticati di un Dio minore / Wonder Boy #3, Disabled people: the forgotten children of a lesser God

Have you missed someone?

Con questo articolo sui Wonder Boy si conclude (per ora) il trio di post sull’esperienza di Casalinga Ninja, amica e lettrice del Daily Pinner che ha prima presentato suo figlio, poi raccontato cosa è capitato loro in vacanza a Creta, dove un gruppetto di bambini dell’Est Europa hanno messo in difficoltà lei e suo figlio, come se non avessero mai visto un ragazzo disabile.

La nostra Casalinga Ninja, vedendo che né i bambini né i genitori sembravano in grado di affrontare la situazione – e quindi un ragazzo disabile che si faceva i fatti suoi – ha ipotizzato, per iperbole, che probabilmente non avessero mai visto un disabile in vita loro. Era possibile che nell’Est Europa gli handicappati fossero ancora tutti chiusi negli istituti? Ammettendo una risposta positiva, tutto sarebbe stato chiaro: per i genitori dei ragazzini, scoprire l’esistenza di una persona “difettosa” in un “mondo perfetto” come è un luogo di vacanza, deve essere stato uno shock culturale non da poco. E questo, ovviamente, avrebbe chiarito lo stupore e la paura dei bambini… e anche degli adulti.

“Le cose che non si conoscono affascinano ma, quasi sempre, fanno paura.”, mi ha detto Casalinga Ninja. Beh, le è bastato fare qualche giro su internet per capire di aver avuto l’intuizione giusta.

Sin dai primi anni della nascita dell’Urss, infatti, tutti i disabili, sia fisici che mentali, cominciarono avenir rinchiusi d’ufficio negli istituti, oppure costretti a rimanere nascosti in famiglia senza essere denunciati all’anagrafe. In questo modo, i disabili venivano “cancellati” dal sistema, eliminando, di fatto, ciò che poteva essere di ostacolo all’efficienza e al progresso. In poche parole la società sovietica ha cancellato dalla sua coscienza i disabili, che purtroppo erano in compagnia di altri “piccoli problemi” simili.

E non stiamo parlando del periodo post bellico: durante le fastose Olimpiadi di Mosca 1980 gli alti dirigenti del partito non manifestarono alcun interesse nell’organizzare anche le Paralimpiadi, dichiarando che in Unione Sovietica non c’erano disabili. Dopo il crollo dell’Impero Sovietico, per alcune categorie di disabili le cose sembra stiano cambiando, seppure molto lentamente. Gli atleti con handicap fisici o sensoriali adesso si fanno onore e vincono molte medaglie nei giochi a loro riservati, ma quando tornano in patria continuano a combattere con le barriere architettoniche e con la carenza di servizi a loro dedicati che ne impediscono, di fatto, la libertà di movimento e le pari opportunità nell’accedere all’istruzione e al lavoro.

Per quel che riguarda l’integrazione dei disabili intellettivi o psichici invece tutto sembra essere rimasto fermo. Casalinga Ninja confessa di avere trovato difficoltà anche nel reperire informazioni utili, tanto che sembra che ancora oggi nell’ex Urss manchino all’appello un milione di bambini disabili sui due milioni e mezzo previsti (calcolati secondo la media europea). Altissima risulta essere la percentuale dei disabili assistiti negli orfanotrofi e negli istituti, già al collasso per il costante aumento degli orfani sociali, ovvero dei bambini abbandonati dalle famiglie e dai genitori single che non sono in grado di provvedere a loro.

Ancora oggi, i genitori sono caldamente invitati a lasciare in ospedale i neonati “imperfetti”, anche se non c’è nessuna direttiva dello Stato che lo impone. I sanitari assicurano che per i bambini disabili è preferibile il ricovero in istituto, dove saranno di certo meglio assistiti e curati che a casa. Inoltre, le argomentazioni per convincere i genitori sono numerose e creative (!):
– Diventeranno lo zimbello dei vicini.
– La famiglia si disgregherà.
– Tutti gli amici li abbandoneranno.
– Non riceveranno aiuti economici sufficienti né permessi per accudirli
– Dovranno rinunciare al lavoro e diventeranno di sicuro poveri.

I coraggiosi genitori che decidono, nonostante tutto, di farsi carico dei loro figli speciali, si vedono di nuovo costretti a dover scegliere se continuare a tenerli nascosti dentro casa o mandarli nelle Scuole Speciali quando i bambini raggiungono l’età scolare. Nei paesi dell’Europa dell’Est queste scuole sono per lo più situate in luoghi lontanissimi dai centri abitati, e accettare di farvi entrare un figlio, spesso, equivale a dirgli addio per sempre perché, diventati grandi continueranno a vivere in istituti per adulti.

Nel cosiddetto ‘Mondo Occidente’ l’integrazione delle persone con handicap non può dirsi di sicuro completa, e Casalinga Ninja, con la sua ricerca e la sua storia, spera che rendere nota quella che sembra una rimozione culturale della disabilità in Paesi geograficamente a noi vicini possa essere una piccola scintilla per innescare il vero cambiamento, almeno nei nostri Paesi. Perché la conoscenza delle diversità aiuta a superare la paura per le diversità.


With this article about Wonder Boys I am going to finish (for the time being) the series about the experience of Casalinga Ninja, reader and friend of the Daily Pinner, who introduced her son, then told us what happened during their vacation in Crete, where some boys from East Europe caused an awkward situation as if they never saw a disabled boy before.

Our Casalinga Ninja, having realized that neither the kids nor their parents seemed to be able to cope with the “situation” – a disable boy whose “sin” was just “being there” – deduced that probably they actually never saw a disabled boy before. Is it possible that in East Europe the disabled are still locked up in institutions? If the answer had been yes, it would have been clear that, for those parents, discovering the existence of a “defective” boy in a “perfect” world such as a holiday camp should have been a remarkable cultural shock. And this whould have clarified their dismay and fear… both from kids and from parents.

“The things you don’t know can fascinate, but also frighten”, Casalinga Ninja told me. Well, she needed just some Google search to realize that she was right.

Since the first years of USSR history, all the disabled people, both physical and mental, were locked up ex officio in some dedicated institutions. The alternative, for their families, was to keep their disabled sons and daughters away from the register of births, so that the system had the chance to cancel who couldn’t contribute to the nation development. In a nutshell, USSR has removed disabled people, and other small, similar ‘problems’ as well, from its population’s conscience.

And we are not talking about the postwar age: during the sumptuous 1980 Olympic Games held in Moscow, the Party leaders showed no interest in Paralympics, stating that USSR had no disabled people. After USSR collapse, things are changing, although very slowly. Nowadays athletes with physical or sensorial disability from former Soviet republics are a credit to their countries and are winning a lot of medals at the Paralympics, but when they go back to their home they keep fighting with architectural barriers and with the lack of services dedicated to them. As a result, they keep having trouble to gain access to schools and work.

On the contary, regarding mentally disabled people, everything seems to be frozen at those years. Casalinga Ninja told us that she had so many problems in finding information about this topic. It seems that a million disabled boys, in the former Soviet republics, are still missing (according to the European average). Furthermore, the percentage of disabled kids in orphanages and institutions is very high, and with the increase of the so-called social orphans – kids who have been abandoned from their families or single parents who are not able to raise and feed them – the situation is falling down.

Nowadays parents are still heartly recommended to leave their ‘faulty’ new-borns at the hospital, even if there is no law that rule the matter. Hospital workers use to ensure that, for this kind of babies, the best solution is to hospitalize them in an institution, so that they can have the best care. What they say, to persuade parents, has a remarkable creative flair (!):
– They will be the laughing stock for your neighbours;
– Their family will break up;
– Their friends will abandon them;
– They will not receive any economical help from the Government, nor the Government will give any permission to care them;
– They will leave their jobs and face poverty.

Parents who are so proud to raise their Wonder Boys, once they reach the age for school, have to choice between either keeping them at home or sending them to some ‘special schools’ that are usually very far from towns. As a result, sending kids to those schools corresponds often to say goodbye to them, since they will keep living in institutions also when they grow up.

In the so-called “Western Civilization”, disabled people integration is still not complete, and Casalinga Ninja, with her story and her research, hopes that showing what happens in those countries can be the spark that triggers the real change, at least in our countries. Because knowing diversity helps to overcome the fear for diversity.

7 comments

  1. Siete rimasti stupiti quanto me nello scoprire che non erano solo maleducazione e cattiveria a far comportare in maniera tanto strana quei ragazzini e a far rimanere senza parole i loro genitori?
    È facile, anche quando crediamo di essere delle persone ‘aperte’, restare intrappolati nei pregiudizi culturali…
    Un rimedio potrebbe essere non accontentarsi delle apparenze ma cercare sempre il perchè delle cose.

    Grazie ancora a Stefania e a tutti i lettori.

    • Grazie a te, cara Catia, per aver condiviso con noi la tua storia, le tue difficoltà e le tue vittorie. Spero di parlare più spesso delle tue vittorie che del resto ;)

  2. Certo mi sento un po stupida per aver pensato male di quelle persone ma non sono convinta completamente della loro ignoranza, persone che hanno la possibiltà di andare all’estero non hanno mai visto un bambino speciale?

    • Ciao Lidia,

      il tuo è un dubbio legittimo. Mi piace pensare in positivo, e sperare che davvero non abbiano mai visto un Wonder Boy. O magari non lo hanno mai notato, o semplicemente non capiscono, non importa quanti ne abbiano visto, proprio perché non fa parte della loro “cultura”.

      • Cara Lidia.
        come dice Stefania possono anche averne visto qualcuno ma senza riuscire a capire esattamente chi/cosa avevano di fronte.

        I disabili sono stati rimossi dalla loro società per troppo tempo e anche persone che ora hanno la possibilità di viaggiare ed informarsi liberamente, non sanno hanno nel loro bagaglio culturale niente a cui far riferimento per capire (ne tantomeno per sapere cosa fare) in presenza di una persona che non ha nessuna menomazione fisica ma, chiaramente, ha qualche altro tipo di ‘problema’.

        Ora che (anche se con difficoltà) i disabili con limitazioni fisiche o sensoriali hanno fatto giustamente sentire la loro voce e hanno chiesto ed ottenuto di uscire dagli istituti per godersi la loro fetta di libertà post-sovietica, i cittadini ‘normali’ stanno cominciando a digerire l’idea che esistano esseri umani non ‘perfetti’ e ad cccettarne l’esistenza.
        Ma i disabili non abbastanza ‘forti’ da farsi sentire, quelli che sono ‘senza voce’ e non hanno nessuno che si batta per la loro dignità di esseri umani, non hanno potuto chiedere di uscire…
        E così continuano a rimanere dove sono sempre stati… dove non sono di disturbo e turbamento a nessuno: fuori vista.

        Tanto loro, della libertà, non saprebbero neppure cosa farsene…

        Catia

  3. Un vero esempio d’inciviltà!! Un terzo millennio ricco di tecnologia ma non certo luminoso, specialmente in alcuni paesi “civilizzati”…arretrati dentro!

    • “Io non vedo, non sento e non parlo”
      A tanti fa comodo vivere così e nascondersi dietro la propria ignoranza.
      Ma ormai è difficile continuare ad ignorare certe cose: il mondo intero è diventato una specie di ‘piazza’ su cui tutti si affacciano.
      E se c’è chi grida, tira fuori scheletri dagli armadi e parla sarà sempre più difficile far finta di nulla e dire di non sapere.

      Catia

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