image L’inadeguatezza ai tempi della pandemia

Mi hanno chiesto perché mi sento inadeguata in questo periodo di pandemia.

Stiamo crescendo una neonata da soli, isolati, con le famiglie all’estero, senza l’aiuto di un asilo o di una bambinaia. La stiamo svezzando, lei sembra felice e in salute. Con Francesco ci dividiamo le giornate, alternandoci: metà giornata lavoriamo, l’altra metà badiamo a lei.

Ce la stiamo mettendo tutta per non farle mancare niente. Faccio il massimo di quello che posso fare, e ogni giorno provo a fare di meglio. Mia figlia non sa come sia fatto un cane. L’ultima volta che un terzo essere umano l’ha presa in braccio, era febbraio. Quattro mesi fa. Due taglie di vestiti fa.

Ci rallegriamo dei progressi che fa: “Guarda, interagisce con i nonni!”. Loro le mandano i bacini via computer, lei sorride e mi guarda, cercando conferma. Sì, Lavinia, stai facendo bene.

Mi sveglio diverse volte di notte, tutte le notti. Mi accerto che mia figlia e mio marito stiano respirando, e lo stiano facendo bene. L’altra notte mi sono riaddormentata con un pensiero di cui mi vergogno: mia figlia è fortunata, perché è nata con la pelle bianca.

Ho cacciato via questo pensiero schifoso pensando a quali altri problemi esistono in questa fase della mia vita, tipo che da settimane non c’è traccia di Cholula a Tesco. Il frivolo diventa essenziale per non soffocare nell’ansia.

Non posso piangere. Mia figlia mi vede e mi sente, ha solo noi come esempio da seguire. A volte perdo la pazienza con lei, e me ne dispiaccio. Lei è una bambina vivace, chiacchierona e a tratti pestifera, per fortuna.

Poteva andarci molto peggio. Ma poteva anche andare meglio.